
La domanda delle domande: come si diventa copywriter?
È la domanda più ricorrente in assoluto. Quella che tutti e tutte pongono durante il corso o la singola lezione di 60 minuti (o già in fase di consulenza preliminare gratuita). Come si diventa copywriter? Quali possibilità esistono per trovare lavoro in questo ambito? Mi piace scrivere articoli, ho qualche chance di trasformare questa attività in una professione? A queste domande abbiamo in parte già risposto nell’articolo Copywriting: come iniziare da zero (per arrivare a 100), un post del blog dove sono illustrate alcune opzioni per chi non ha nessuna esperienza nel settore. La questione è però in questo caso un po’ diversa: non come si inizia, bensì come si diventa. Con un corso? Con un master? Con un esame universitario? Che cos’è che certifica, de facto, lo “status” di copywriter? Per chiarire la questione bisogna iniziare parlando dello scenario attuale e dell’inquadramento fiscale-giuridico del copy.
In Italia, purtroppo o per fortuna, il copywriter non ha né un codice ATECO né un ordine che ne tuteli i diritti (l’unico ordine vagamente affine è quello dei giornalisti, con ben pochi punti in comune). Vediamo nel dettaglio che cosa succede quindi nel momento in cui si prova a diventare copy.
Come diventare copy con partita IVA (e codice ATECO)
Immaginiamo che tu sia un neolaureato, una persona in cerca di lavoro o un blogger che ha deciso di fare il grande passo e mettere a frutto le proprie competenze per diventare un professionista a tempo pieno. Il primo passo consisterà nel decidere come essere inquadrato a livello fiscale-giuridico. Come detto in apertura, l’Italia non ha ancora inserito il copy nella classificazione delle attività economiche adottata dall’Istat per finalità statistiche. Ergo, in Italia non c’è alcun codice ATECO assimilabile all’attività di copywriter: in altre parole, non esiste un numero identificativo per il lavoro di copy svolto da una persona o da una società. Questo rende tutti i copywriter abusivi?
Assolutamente no!
Il codice ATECO è solo un riferimento che deve avvicinarsi il più possibile all’attività svolta, ma non ci sono obblighi di perfetta corrispondenza in questo senso (all’epoca la nostra agenzia, CONTENUTI-WEB, è stata inquadrata da un centro CNA come “web desinger, creatore di pagine web”, lavoro che svolgiamo solo in minima parte). Il commercialista o lo studio a cui ci si rivolge avrà il compito di stabilire quale codice si avvicina di più, perché una volta registrato, quello è e quello rimane!

Non è vero dunque, come si legge su siti come ad esempio Fiscozen, che il codice ATECO del copywriter è 74.90.99. Questo codice ATECO, come riportato, paradossalmente, in un altro articolo dello stesso Fiscozen, fa riferimento a:
- attività di intermediazione aziendale, escluse quelle in ambito immobiliare e assicurativo
- intermediazione per l’acquisto e la vendita di licenze
- periti calligrafici
- sommelier
- servizi di gestione dei diritti d’autore
- agenzie finalizzate alla ricerca di acquirenti tra gli editori, produttori per libri, opere teatrali, opere d’arte o fotografie
A meno di ritenere quindi che il copywriter sia un perito calligrafico (…), possiamo concludere che il codice ATECO di Fiscozez, come da copione, vale tanto quanto altri codici più o meno simili.

E come diventare copy senza partita IVA
Diventare copywriter non vuol dire per forza mettersi in proprio. Moltissime persone che gravitano intorno a questa professione lavorano a vario titolo come dipendenti full time o part time in agenzie e imprese. C’è chi si occupa di comunicati stampa e comunicazione in generale per un’azienda, chi gestisce i blog dei clienti di una web agency, chi segue la parte di news e social media per conto di un ente pubblico… ne abbiamo conosciuti tanti in questi anni di formazione: ragazze e ragazzi che sono assunti con contratti di collaborazione o a tempo determinato/indeterminato, per i quali non c’è alcun bisogno di partita IVA. Non è per forza meglio o peggio, è semplicemente diverso. Certo è che possedere una partita IVA può essere un valore aggiunto notevole qualora un’azienda o un professionista avesse bisogno di un copy ma non fosse disposto ad assumerlo. In un mercato estremamente competitivo e selettivo come quello attuale, la mossa di aprire o non aprire partita IVA è senz’altro decisiva fin dal primo giorno di lavoro (o ricerca del lavoro).
Meglio diventare copy generico o conviene specializzarsi?
Una volta approfondita la parte più squisitamente burocratica, vediamo un altro aspetto fondamentale per chi sogna di fare il copywriter. Parliamo della possibilità di specializzarsi e non diventare l’ennesimo copywriter generalista. Che cosa intendo? Voglio dire che il copy, da vent’anni a questa parte, è stato una sorta di jolly, coinvolto per scrivere di sport come di politica, di schede elettroniche come di infissi e serramenti: un “tuttologo” della scrittura, abituato a spaziare da un topic all’altro senza mai sapere effettivamente nulla su un tema in particolare. Oggi non è più così, e i trend di ricerca in lingua inglese (ma anche in italiano) lo dimostrano:

I potenziali datori di lavoro cercano copy specializzati in qualche specifica nicchia, come la fotografia, il real estate o il coaching. Vale anche per l’italiano? A quanto pare sì: ecco uno screenshot di ricerche suggerite da Google, chiaro segnale che ogni mese c’è chi è interessato ai corrispondenti servizi e cerca un copywriter per…

Il consiglio da parte di chi, come il sottoscritto, nasce nei panni di copywriter generalista (o articolista che dir si voglia) è quello di specializzarsi in qualche macro-categoria di commercio: copywriter per la moda, copywriting legale, copywriter per email, copywriter per vendere… ci sono mille sfumature in questo mestiere ed è ormai poco credibile che tutti sappiano scrivere di tutto. Anche perché più andiamo nel generico, maggiore sarà la concorrenza che dovremo affrontare!
Sì ma, di fatto, come cavolo divento un copywriter?
Abituati come siamo a essere incasellati passando da una laurea a un master e da un master a un corso di specializzazione, abbiamo perso di vista la cara vecchia gavetta di una volta. Quella dove, semplicemente, ci si “buttava” senza arte né parte, con l’intento e la speranza di imparare un lavoro. A volte andava bene e si veniva assunti, altre volte la prova falliva e il bottegaio prendeva qualche altro garzone sotto la sua ala. Volendo estremizzare, possiamo dire che il copy funzioni allo stesso modo: ci si butta e ci si propone come copy, creando ovviamente una propria vetrina (come un sito web o come un profilo LinkedIn aggiornato come si deve). E magari, nell’attesa, si frequenta un corso di copywriting come il nostro per rimanere sempre aggiornati e confrontarsi con chi è più esperto. La differenza vera sta nella costanza, nella passione e nella voglia di crederci. Perché sì, anche se siamo nel 2023 e l’intelligenza artificiale è già realtà, di copywriting si può ancora vivere, purché si capisca come muovere i primi passi e si continui su quella strada con fiducia e capacità. Buon rientro a tutti e buona formazione!